300 operatori sanitari davanti all’Ospedale di Parma per ricordare le vittime tra gli operatori sanitari a Gaza

300 operatori sanitari davanti all’Ospedale di Parma per ricordare le vittime tra gli operatori sanitari a Gaza

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L’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Parma ha aderito al flash mob nazionale che ha unito oltre 100 ospedali italiani in un momento di raccoglimento e solidarietà per gli operatori sanitari uccisi nei luoghi di guerra.


Un silenzio carico di significato

Davanti all’ingresso principale dell’Ospedale Maggiore di Parma, nella sera del 2 ottobre, circa trecento operatori sanitari si sono riuniti in un momento di profondo raccoglimento. Infermieri, medici, ostetriche, operatori socio-sanitari, fisioterapisti e cittadini si sono stretti in un silenzio denso di emozione, illuminato soltanto da fiaccole, candele, torce e luci di smartphone. Un flash mob sobrio ma potente, dedicato alla memoria degli operatori sanitari uccisi a Gaza e in altre zone del mondo dove la guerra continua a spegnere vite innocenti, comprese quelle di chi ogni giorno lavora per salvarle.

L’iniziativa, promossa a livello nazionale da un gruppo di professionisti sanitari e sostenuta da oltre cento ospedali italiani, ha trovato anche a Parma una partecipazione ampia e sentita.

La forza del silenzio e della luce

panoramica dei partecipanti con le luci acceseDurante il flash mob, il momento più intenso è stato quello della lettura dei nomi delle vittime tra gli operatori sanitari uccisi nei conflitti in corso, in particolare nella Striscia di Gaza. Nessun colore politico. Solo silenzio, rispetto e umanità.

Un silenzio che ha parlato più di mille parole, ricordando che chi cura, chi soccorre, chi si prende cura della fragilità umana non dovrebbe mai diventare un bersaglio.

Manifestazione luci per la Palestina all'ospedale di Fidenza Vaio

Manifestazione all’ospedale di Fidenza Vaio

Molti dei presenti hanno raccontato di aver provato un’emozione difficile da descrivere: «Era come se ognuno di noi avesse perso un collega, un fratello, una sorella», ha detto un’infermiera del reparto di Medicina d’Urgenza. «Quelle vite spente sono parte della nostra comunità professionale. Sentiamo il dovere di ricordarle e di chiedere che il diritto alla cura venga sempre rispettato».

Un gesto condiviso da un intero Paese

Manifestazione luci per la Palestina all'ospedale di Fidenza Vaio

Manifestazione all’ospedale di Fidenza Vaio

Il flash mob di Parma è stato parte di un evento diffuso che, nello stesso giorno e alla stessa ora, ha coinvolto contemporaneamente oltre 100 ospedali italiani. Da Nord a Sud, da grandi centri metropolitani a piccoli presidi territoriali, centinaia di operatori sanitari si sono raccolti per esprimere lo stesso pensiero: la vita e la cura non possono essere vittime della guerra.

L’iniziativa nasce dal desiderio comune di testimoniare vicinanza e solidarietà verso chi, anche sotto le bombe, continua a garantire assistenza, spesso a rischio della propria vita.
Un messaggio che ha superato confini, differenze e appartenenze, unendo idealmente tutte le professioni sanitarie sotto un unico principio: la difesa della dignità umana.

L’OPI di Parma ha accolto e sostenuto con convinzione l’appello alla partecipazione, diffondendo la notizia attraverso i propri canali ufficiali e invitando gli iscritti a unirsi all’iniziativa nel rispetto dei valori fondanti della professione infermieristica: cura, empatia, solidarietà, pace.

«Abbiamo aderito con convinzione a questo momento di riflessione collettiva – ha dichiarato il Presidente dell’Ordine – perché crediamo che l’infermieristica, per sua natura, non possa rimanere indifferente di fronte al dolore e all’ingiustizia. Quando un operatore sanitario viene ucciso mentre cura, viene colpita l’intera umanità. E quando a morire sono pazienti, bambini, colleghi, non possiamo tacere».

L’Ordine ha sottolineato come la partecipazione a iniziative come questa non abbia finalità politiche, ma etiche e umanitarie, coerenti con i principi sanciti dal Codice deontologico dell’infermiere, che richiama al rispetto dei diritti umani e alla promozione della pace in ogni contesto, anche in situazioni di conflitto.

Un momento storico difficile per l’umanità e per la professione sanitaria

Viviamo un tempo in cui il mondo sembra attraversato da conflitti senza fine, da crisi umanitarie che colpiscono in modo indiscriminato popolazioni civili e strutture sanitarie. Ospedali bombardati, ambulanze prese di mira, operatori sanitari uccisi mentre prestano soccorso: immagini che non dovrebbero appartenere alla realtà, eppure riempiono le cronache quotidiane.

Per chi ha scelto di dedicare la propria vita alla cura degli altri, questi scenari rappresentano un dolore doppio.
Da un lato, il lutto per i colleghi perduti. Dall’altro, la consapevolezza di quanto sia fragile il valore della vita quando viene travolto dalla violenza.
In questo contesto, anche un piccolo gesto come un flash mob può diventare un atto di resistenza morale, un modo per riaffermare che la cura è, e deve restare, un diritto universale.

La luce come simbolo di speranza

Le luci accese davanti all’Ospedale Maggiore non sono state solo un segno di memoria, ma anche un messaggio di speranza.
La speranza che un giorno nessun operatore sanitario debba più morire per mano della guerra.
La speranza che la cura torni a essere il linguaggio comune tra i popoli, anche dove le parole falliscono.
La speranza che ogni professionista della salute, in ogni parte del mondo, possa lavorare in sicurezza, nel rispetto del proprio ruolo e della vita umana.

Le torce accese, le fiaccole tremolanti e i flash degli smartphone hanno creato un’atmosfera quasi sospesa, in cui ognuno dei presenti ha potuto ritrovare un senso profondo di appartenenza.
Appartenenza a una comunità professionale, ma anche a una comunità umana più grande, unita dal desiderio di pace.

La responsabilità etica della cura

Essere operatori sanitari significa assumersi ogni giorno una responsabilità: quella di curare, di accogliere, di proteggere la vita, qualunque essa sia.
In contesti di guerra, questa responsabilità si fa eroica. Gli infermieri e i medici che restano a curare nei luoghi di conflitto rappresentano la più alta espressione dei valori umani e professionali.
La loro morte non deve essere solo motivo di dolore, ma anche di testimonianza: un richiamo a non dimenticare, a non abituarsi alla violenza, a non considerare mai la guerra come “normale”.

Per questo, OPI Parma ritiene che la memoria collettiva sia parte integrante della cultura della cura. Ricordare significa riconoscere il valore di ogni vita perduta e impegnarsi affinché simili tragedie non si ripetano.

In un periodo storico segnato da guerre, disuguaglianze e crisi sociali, gli infermieri e tutti gli operatori sanitari rappresentano un punto di riferimento per la comunità.
Essi testimoniano, con il loro lavoro quotidiano, che la cura è un atto politico nel senso più alto del termine: un gesto che afferma il valore della vita e ne difende la dignità.

L’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Parma ringrazia tutti coloro che hanno partecipato e invita la cittadinanza a non dimenticare. Perché, come ha ricordato una delle partecipanti, “quando una luce si accende per chi non c’è più, si illumina anche la strada per chi resta”.