I casi di “successo” nel Circolo di Arianna

I casi di “successo” nel Circolo di Arianna

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Sono un’infermiera. Il mio lavoro è prendermi cura degli altri. Da circa dieci anni gli “altri” per me sono gli anziani che vivono nelle case protette.
Prima lavoravo in ospedale, in ambiente chirurgico dove mi prendevo cura di persone in condizioni di acuzie. Il paziente era un caso clinico; la degenza, generalmente breve, presupponeva una dimissione. Si lavorava per avere il massimo risultato nel più breve tempo possibile.
Oggi per me è totalmente cambiato il concetto di efficienza rispetto alla professione, sono cambiati i parametri con i quali mi rapporto, per definirmi una brava infermiera. Ma soprattutto, sono cambiati gli “altri” dei quali mi prendo cura. Gli anziani che entrano in struttura sono persone che per vari motivi, non necessariamente di natura sanitaria, non possono più restare nella loro casa e vengono a trascorrere il periodo finale della loro vita nella residenza protetta. Le strutture di accoglienza ora si definiscono “Case di residenza anziani”, prima erano Case protette. Rimane il termine casa che, credo per tutti, non indica solo un edificio, ma un luogo di vita dove ci sono affetti, ricordi, abitudini che ci danno tanta sicurezza, dove ci sentiamo liberi, accolti, dove ci sentiamo sicuri perché ne conosciamo ogni angolo, ne conosciamo il contenuto di ogni cassetto.
Mi è sempre stato difficile definire “casa” le strutture per anziani. Forse “albergo”, oppure “pensione per pensionati” rendono meglio l’idea di un luogo dove c’è chi si sostituisce a te nelle quotidiane piccole scelte di vita e dove poco spazio è lasciato all’autonomia.
E l’anziano, in questa situazione, cosa fa? Aspetta. Si siede e aspetta. Aspetta che lo alzino, aspetta che gli preparino la colazione, aspetta il pranzo, la cena. Aspetta e si annoia. C’è l’animazione, ci sono le feste, ci sono le visite dei parenti, quelli che vengono da lontano, che portano i cioccolatini come quando sei ricoverato in ospedale (e che spesso ti vengono requisiti, perché sei diabetico) e che si guardano intorno pensando «spero che non capiti anche a me». Ci sono le visite dei figli che soffrono per sé stessi, che non sono in grado di occuparsi di te e che ti hanno dovuto affidare ad altri. Realizzando questa realtà che, in quanto infermiera, mi coinvolgeva direttamente come responsabile del processo di cura, ho capito che c’è spazio per un cambiamento. L’anziano ha bisogno di stimoli per trovare ragione di vita. Lo stimolo migliore è fare le cose che si sono sempre fatte, che si conoscono e che quindi non spaventano, che hanno costituito il quotidiano, scandito i tempi della giornata, che ci hanno insegnato o che abbiamo imparato con l’esperienza. Ho sempre pensato che le nostre vecchiette, nel loro passato, abbiano, tutti i giorni rifatto letti, cucinato, curato orti, fiori, bambini, lavorato a maglia, pulito la casa.
Difficilmente hanno ritagliato sagome di animaletti, costruito scatoline, applicato fiori di cartone alle finestre della loro casa. Ho pensato che il miglior modo per far sì che la residenza per anziani diventasse la loro “casa” dove passare, tutelati ed aiutati, gli ultimi anni di vita, fosse viverla come tale. Da qui l’idea del “Circolo di Arianna” per non perdere il filo della memoria. Ma un’idea, per essere realizzata, deve essere condivisa. Finalmente, un giorno, ho trovato una persona che mi ha detto «bello, lo facciamo».
Così in un ambiente della casa protetta, è stata realizzata una piccola cucina con annessa una sala da pranzo-lavoro, dove otto anziane trascorrono una parte della loro giornata. Qui apparecchiano, sparecchiano, lavano i piatti, cucinano, spolverano, chiacchierano, cuciono, lavorano a maglia, coltivano un piccolo orto creato sulla terrazza e qualche piantina di fiori. Le camere da letto, vicine alla sede del Circolo, sono diventate proprie, personalizzate, coinvolgendo la famiglia, con oggetti provenienti dalla loro casa. Un operatore dedicato segue queste anziane dall’alzata, agendo come facilitatore delle attività ed intervenendo in aiuto o sostituzione solo dove necessario.
Risultati: strepitosi nella maggior parte dei casi, ma anche qualche fallimento. Un caso di deficit uditivo non correggibile ha ostacolato il rapporto con gli altri ospiti, in modo tale da far chiedere a Camilla di interrompere l’esperienza.
Qualche anziana ha rifiutato di partecipare alle attività perché «non aveva più voglia di lavorare». Il circolo di Arianna è diventato uno dei punti di forza della struttura e le anziane che lo abitano sono orgogliose di preparare le torte per i compleanni, di far assaggiare il minestrone con i maltagliati che hanno cucinato o di regalare la bottiglietta di nocino che hanno preparato. Ma i successi strepitosi non sono questi.
Anna, grave demenza, molto agitata, wondering, oppositiva, ansiosa, al circolo rimane tranquillamente seduta con il suo bambolotto-bimbo in braccio, guardando quello che le accade intorno ed interagendo, spesso attraverso il bimbo, con le altre persone. Questo è un successo.
Gina, completamente disorientata spazio-tempo, perdita totale di tutte le autonomie tranne la deambulazione, il giorno degli gnocchi (venerdì gnocchi) autonomamente gestisce l’impasto e taglia i pezzetti, mostrando l’unica abilità che le è rimasta, è un successo.
Guglielma, educata rispetto ad un problema di disfagia, ora è in grado di gestire gli alimenti sminuzzandoli, abbandonando così nel tempo il pasto frullato. Prima di bere chiede il barattolo di addensante che si dosa autonomamente nel bicchiere. Questo è un successo.
Ed io, che partecipo a questa esperienza, che osservo, cercando di capire se il percorso che abbiamo ipotizzato per ognuna di loro è il migliore, che vedo anziani non più seduti ad aspettare, io sono l’infermiera. Anch’io ho spesso pensato “spero non capiti anche a me”. Se sarà per me necessario lasciare la mia casa ed affidarmi ad una struttura, spero che in quella casa residenza anziani ci sia un Circolo di Arianna, per non perdere il filo della memoria.
 
Stefania Pettenati